venerdì 28 marzo 2014

Predicando Blues(saltò su il diavolo)

Guardai la mia faccia livida riflettersi nello specchio del bar. Consumai velocemente un caffè ristretto e stranamente senza zucchero. Scambiai due chiacchiere svogliate con il barista, pagai il conto ed uscii. Don Peppino, un vecchio maestro di pianoforte, lo diceva sempre che noi uomini siamo strani. Ci teniamo stretti le nostre disgrazie, ci occupiamo di loro. Le culliamo, come fossero bambini in fasce e non le schiodiamo più da lì, neanche a cannonate.
Quando nasci senza nulla, nella piena indigenza, volente o nolente l’ingegno si aguzza. Elmor James iniziò a suonare su uno strumento che si era costruito da solo. Aveva  aggiunto quattro corde a una scatola di latta. In quella maniera cercava di far uscire la melodia che c’era in lui. Elmor regalò il cuore alla musica. Perché fin che la vita suona, tutto ha un senso, puoi sperare di superare le pene devastanti che un esistenza fatta di privazioni e povertà ti negano. Senza, ci sarebbe solo il vuoto e il silenzio più assoluto. Siamo alla fine degli anni venti. Elmor James,  che era venuto su in fretta, non immaginava minimamente che un giorno i libri del blues lo avrebbero indicato come uno dei rinnovatori più significativi e autentici della musica del diavolo.
Alle due di notte dormivo tranquillo quando il citofono di casa suonò. Prima che mio padre si decidesse ad alzarsi dal letto e rispondere, suonò una seconda volta, e poi una terza. Solo allora, incazzato come una iena, andò a rispondere. Di certo un altra rogna quella notte lo attendeva. Come accadeva ormai spesso, una volante della polizia era venuta a prelevarlo. Poche ore prima, ma questo lo raccontò in famiglia la sera del giorno dopo, quando finalmente fece rientro a casa, era avvenuta una carneficina. Un uomo, in preda ad un raptus di gelosia, aveva ucciso l’amante della moglie, la moglie e si era suicidato. Al citofono parlottò nervosamente con l’agente. Poi si vestì in fretta. Prese la sua valigia di pelle bordò e la Rolleiflex,  già pronta allo scatto. Macchina che usava per fotografare i cadaveri senza l’uso del treppiedi. Prima di uscire venne a salutarmi. Per la prima volta notai che aveva un’aria stanca e disillusa. Le sue notti erano state come una danza lenta e inquieta. C’era stato solo spazio per quell’umanità, che in un modo o nell’altro, perdeva l'equilibrio e impazziva. Lui, allora, si sentiva come una preda ferita, che sbatteva le ali e non riusciva a fuggire da tutto quell’orrore. Me lo confidò lui stesso mentre viaggiavamo col mio furgone anni più tardi, una  volta che venne a farmi compagnia in una giornata di lavoro. Era estate ed un sole alto illuminava il mondo. Un blues elettrico, lento e penetrante, fuoriusciva dall’autoradio e ci accompagnava nel viaggio. Magicamente, si era rilassato guardando il mare che costeggiavamo e mi raccontò tante cose di lui. Fu uno di quei rari momenti che ho visto mio padre girarsi verso di me e sorridere alla vita. Nessuno in fondo resiste alla musica.
Elmor James se ne stava rannicchiato in un angolo, abbracciato alla sua chitarra, sotto la pioggia battente. Ad un tratto, un uomo dal viso buono, anch’egli completamente inzuppato di pioggia, lo invitò ad entrare in quel juke joint che stava dal’altro lato della strada. Lo sconosciuto era anch’egli un musicista, un suonatore d’armonica. Sonny Boy Williamson era il suo nome. 
Un po’ di tempo fa, mio padre mi disse: non si foraggia mai nessuno con una mano, per poi eliminarlo con l’altra. Questo è quel che hanno sempre fatto i nostri politici. Gente cattiva che si organizza e poi ci da dentro. Come in guerra, qui non viene mai nessuno ad aiutarci. Io e mio padre eravamo amici. Lui si fidava di me, ed io di lui. Adesso lui è morto. Ed io, io suono il blues della rassegnazione. Il blues della rassegnazione. (L’odore della paura (il blues della rassegnazione) tratto da Viaggiatori Nella Notte)  
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