giovedì 21 gennaio 2016

Perso Nella Folla

Alla seconda sorsata gli si riempirono gli occhi di lacrime. Nemmeno gli angeli del paradiso lo avrebbero potuto consolare. Si sentiva come un bambino, terrorizzato da quell’attacco di panico. Posò lo sguardo sui suoi pensieri e rimase stranito, tremante, fermo in mezzo alla strada. Si era attaccato alla bottiglia, anche se quel vino sapeva d’aceto. Ma alla fine ci si sbronza con quel che si trova. L’alcool gli esplose dentro lo stomaco, facendolo quasi vomitare. La strada puzzava di merda di cane. Mentre un pallido velo di fumo, infiacchiva la luce dei lampioni. Aveva sempre fatto una gran fatica a sbaraccarsi da quelle barriere in cui si era recintato. Anche se uno non lo sa, o fa finta di niente, s’impara tutto da piccoli, quando si è deboli e insicuri. Un suo zio prediletto, quello che ti porta al cinema e ti offre da fumare, gli disse di comportarsi bene, se non voleva finire in galera. Adesso la pioggia aveva cominciato a cadere densa. Sotto quel diluvio, i suoi spettri presero a far rumore e a urlare violentemente. Gli parve di vedere dei corvi alzarsi in volo. Girò lo sguardo verso il muro, e quando alzò nuovamente gli occhi, il giorno arrivò. In una tromba di luce accecante.  La vita è piena di delusioni. Di sogni rancidi, di profili sbiaditi, di amori fasulli, di merda e morte. Dopotutto la speranza non costa granché. Anche quella di diventare ricchi e famosi, non costa nulla. A lui piaceva viaggiare nelle strade buie e silenziose, osservando la linea di mezzeria. In fuga da tutto e da tutti.

Ed Cassidy aveva suonato la batteria con Thelonious Monk, Gerry Mulligan, Art Pepper, Cannonball Adderley. Quando a Los Angeles incontra Randy California - un chitarrista fantasioso e originale che aveva suonato con Hendrix e Jimmy James The Blue Flames - con Mark Andes, John Locke e Jay Ferguson, danno vita a uno dei gruppi più atipici della scena rock americana. Gli Spirit suonavano musica davvero difficile da etichettare. Erano tra i pochi a sapere mescolare il pop, (uno dei più grandi riff rock rimane la loro I Got A Line On You) con spunti jazzistici, musica psichedelica e limpide armonie vocali. Musicisti eccelsi, impeccabili, ma non per questo privi di cuore. “The Family That Plays Together” venne fuori nel dicembre del 1968 e conteneva sette canzoni, che suonano misteriose e inquietanti, ambigue e tenebrose. Ma anche oniriche e rilassanti. Come fantasmi nella notte, riescono ancora ad aprirsi un varco in quei frammenti di luce, che in un modo o nell’altro ci tengono vivi. L’autunno e il freddo. Fondi di caffè e sfere di cristallo. Imposte chiuse, campanelle e fanfare. Alle volte non riesci a respirare. Quel morso che ti attanaglia, non si calma. Toc! Toc! Toc!  Si fermò ansimando come un cane rabbioso. In quel grande vuoto, poteva anche marcire di malinconia. E allora si mise a canticchiare "Sunny". Quella canzone lo faceva sentire meglio. Il cuore riprese a battere, tremare, tuonare. La musica lo ripuliva. Il sogno era come un’ambulanza che lo soccorreva. Prese a camminare a testa alta, con il passo di chi non ha più paura.

E musica che potete sentire in ogni luogo, allo radio, nelle strade, blues, soul, country, rock, musica religiosa e suoni del traffico, della folla, della strada e dei prati, il suono del silenzio della gente.

Questo scriveva il chitarrista Mike Bloomfield nelle note di copertina di A Long Time Comin’ l’album d’esordio targato 1968, degli Electric Flag. Con Michael c’è anche il vecchio amico Nick Gravenites, Buddy Miles, Barry Goldberg, e Harvey Brooks. Una sezione di fiati completa l’ensemble, per un progetto stilistico ambizioso. La band è davvero esplosiva, soprattutto dal vivo. Si esibiscono con buon successo al festival di Monterey e partecipano alla colonna sonora del film The Trip. Ma in studio forse per colpa di certi arrangiamenti, non riescono a essere convincenti. Sicuramente Bloomfield è l’esatto opposto di una rockstar. Un uomo stracarico di tormenti interiori. Un carattere schivo e taciturno, che lo mette in  difficoltà a stare sotto le luci della ribalta. Soffre anche di una grave forma d’insonnia, tanto che comincia a farsi di eroina. Prima di formare gli Eletric Flag, tra il 1964 e il 1965, suona in studio con Bob Dylan in Highway 61 Revisited. In seguito farà parte della Butterfield Blues Band, e dopo aver accompagnato per un pezzo di strada Eddie Vinson, forma i Flag. “A Long Time Comin’” rappresenta uno spaccato di quell’epoca del rock, quand’era più facile tuffarsi su qualche strada, e dare gas ai propri sogni. Ma allora si aveva voglia di ubriacarsi a ogni fermata che si faceva, pronti a ricominciare, qualsiasi cosa capitasse. Ci sono dentro queste canzoni i frastuoni ossessivi della città del vento, e i suoi rumori. E anche i miei giorni innocenti.

La cucina era in miniatura e dava su un piccolo cortiletto sporco, pieno di vecchie cose arrugginite, accatastate l’una sull’altra. Un motore diesel, dei copertoni, un manubrio. Fusti di latta, scatole di polistirolo, sopramobili, un portacenere di marmo, un quadretto con foto in bianco e nero. Ferri da stiro, un campanello elettrico, caraffe di legno, quel che restava di una macchina per cucire, un paraurti, delle scatolette di cibo per gatti. Un ventilatore a colonna, un saldatore elettrico, un rullo per pittura, mazze da carpentiere, uno scappello a punta. Un cane arrotolato su se stesso dormiva a ridosso di quella catasta. Nella tromba delle scale del palazzo, i ragazzi giocavano a carte bevendo succo di pera mischiato a gin. Prese una birra e accese lo stereo. Con suo fratello da bambini giocavano ad ammazzare gli scarafaggi che passavano sul davanzale del balcone della cucina. Un pomeriggio né contò più di cinquanta. Era cresciuto in quel quartiere dove conosceva tutti, e in qualche modo in quel luogo, si sentiva al sicuro. Ma nel tempo molte cose erano cambiate. Molti luoghi della sua memoria erano spariti per fare spazio a inutili palazzi, e a quei centri commerciali del cazzo, che stavano sterminando il suo passato.

Alle prime note di “God Bless The Child” alzò il volume dello stereo. Aveva sempre uno strano effetto quella canzone su di lui. Quel disco gli emanava una sensazione dolce, lo metteva a suo agio. Rimase a guardare fuori dalla finestra la strada che si faceva buia. Quando la musica terminò stappò la birra che teneva in mano, e si sedette sul bordo del letto. Dopo si distese e si addormentò di colpo. Certo che non sarebbe male, se ci fosse qualcosa che ci facesse distinguere da subito i buoni dai cattivi. Ma alle volte basterebbe guardarle da vicino le cose, per vederle. Il quartiere della diciottesima circoscrizione era abitato da operai, gente umile, alla buona. Fin da piccolo aveva imparato frequentando quelle strade, che c’erano solo due modi per cavarsela nella vita. O ci penetravi inzuppandoti fino alla testa col rischio di soffocare, oppure era meglio risalire il fiume spingendo lentamente la canoa, in modo tale da potere vedere i giorni che passano. Lo avevano svenduto quel quartiere in nome del progresso, i fantocci che amministravano la città. I piccoli negozi avevano chiuso, gli affitti erano diventati vertiginosi, ed erano arrivati in massa i cinesi ad arraffare tutto quello che potevano, per aprire i loro punti vendita, e riempirli di pattume. Camminava stordito anche tra le cose che gli sembrava di conoscere. Era tremendo osservare come ce ne fossero di cose, e persone smarrite nei ricordi, che non si muovevano più. Come i morti. Quando uno invecchia non sa più chi risvegliare. Ascolti vai! Poi ti ritrovi. Sali in cima e scendi, guardi dappertutto. Un passo, due passi, adagio, non vedi nessuno. Buongiorno angosce. Cadrai a pezzi come un rottame. Niente di grave. Ma vada come vada, non farai domande. La gente sbraita e rompe le palle. Mi concentrerò solo sul respiro, solo sul respiro. Siamo tutti tremendamente soli, in questo mondo. 


Bartolo Federico 


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