mercoledì 24 febbraio 2016

Due Cuori




Non so se sia mai esista la terra promessa, so che ci ho creduto sin da quando ragazzino ascoltai The Promised Land di Bruce Springsteen. Nelle mie notti migliori ho inseguito quel sogno, cadendo più volte a faccia in giù e masticando amaro. Ostinato come sono, mi sono sempre rialzato andando incontro al nuovo giorno che lentamente sbatacchiava gli occhi. Ho tenuto duro grazie alla musica, ai libri, alla poesia, a qualche film e ai pezzi generosi e sensibili che scriveva Zambo sul vecchio Mucchio Selvaggio. Sono state queste le cose che mi hanno fatto sentire ancorato al mondo, che mi hanno dato fede e speranza per resistere, insieme a tutti gli ultimi della fila dove anch’io silenziosamente mi ero accomodato. Il rock che ascoltavo era un impasto di poche e semplici ingredienti, ma aveva dalla sua un’anima che dopo ci ho trovato sempre più di rado. Mentre calava l’oscurità ed ero lì per naufragare, quel rock mi ha preso per i capelli, mi ha teso le mani offrendomi una seconda possibilità e, siccome ho sempre creduto nella sua forza, mi sono abbarbicato a lui. Non ebbi paura di affogare, ma c’è da dire che ero giovane e anche incosciente.

Non avendo nulla, ma proprio nulla, scappai nel vento correndo contromano con tutti quei figli e figliastri di Bruce e Tom Waits che, come fu per Dylan, proliferavano come funghi dopo la pioggia. Salii sul quel treno della sera pieno zeppo di spiantati che viaggiavano verso ipotetici sogni di gloria. A ogni fermata imbarcava cuori solitari, idealisti, romantici, buffoni, perdigiorno, tutti avevamo lasciato la città perché era dura essere santi e ci eravamo tuffati in quel fiume di parole ed emozioni. Tutti noi, perfetti sconosciuti alla ricerca di una strada alternativa. Insieme a loro sprofondavo nella malinconia del mattino quando, feroce e cinica, arrivava la realtà ed i sogni morivano trafitti dalla luce del sole. Era il tempo del vino e delle rose, di canzoni epocali come furono Burn e Merrittiville dei Dream Syndicate o The Pan Within dei Waterboys, di dischi romantici come The God Given Right di Lee Fardon e di canzoni e band di disperati, com’erano i Replacements di Tim e i Del Fuegos, di Boston Mass e di quel romanziere polpa e cuore di The Big Heat il mai troppo lodato Stan Ridgway, per finire rifugiati nelle stanze del Blue Hotel di Chris Isaak.

Non mi è mancato il coraggio allora, no, quello lo avevo in abbondanza. Aspettai paziente sulla riva del fiume il segnale per ripartire con nuovi fuggiaschi, ma questo arrivò dopo anni e giunse con i dischi di Will T. Massey, di Michael McDermott e del mio amatissimo Matthew Ryan. Confuso e bevuto, allontanai i dispiaceri, li infilai dentro una bottiglia verde smeraldo che gettai lontano insieme alle promesse di una rossa tutta curve, incontrata per caso lungo la via, ma dal cuore troppo piccolo per abitarci in due. Appeso alla luna mezza addormentata, urlai e spinsi sull’acceleratore, costretto, poi, a frenare bruscamente mentre il tempo passava inesorabile, lasciandomi solo con i miei patimenti, con i miei rancori che venivano direttamente dal cuore. Portai alla deriva con me le ferite aperte e mai rimarginate, come fossero una maledetta punizione.

A volte mi sembrò di sentirmi come un novello Eraclito e, accontentandomi di quel poco che avevo, mi inabissai nella mia solitudine, cercando di cogliere, estraneo a tutti, il senso profondo delle cose che mi circondavano. Non credo di esserci riuscito. Poi il miracolo avvenne inaspettato. All’improvviso la vidi sbucare dal fondo della strada, la mia ragazza del Jersey aveva i capelli riccioluti e occhi neri da cerbiatta che erano spenti proprio come i miei. Fu lei a fermarsi e a riconoscermi ed io, che nella malinconia della notte avevo conservato tutto il mio amore per lei, fui colto da un brivido lungo la schiena e la presi per mano. Fu così che il mio sogno divenne realtà e mi permise di sognare nuovamente. Scappammo a bordo di una vecchia e sconquassata 126 e ci dirigemmo verso l’autostrada, mentre il sangue mi scorreva veloce nelle vene ed il cuore mi pulsava come uno stantuffo. Adesso ne ero certo, potevo iniziare finalmente qualcosa di nuovo, qualcosa di vero. Mentre guidavo abbassai i finestrini e nel chiaroscuro della notte, con quella luna smilza che ci seguiva, sentii la banda di mezzanotte cantare ….. nient’altro è importante in questo mondo quando sei innamorato di una ragazza del Jersey e canti sha la la la la la, sha la la la la la, ripeti il suo nome la notte non riesci a dormire Sha la la la la la la.(Jersey Girl - Tom Waits -). Potete giurarci, non si può vincere da soli, alla fine due cuori sono meglio di uno. Due cuori risolvono il problema, specie se trovate una ragazza del Jersey.


Bartolo Federico

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