domenica 27 marzo 2016

In Un Giorno Di Pioggia


Ci sono posti perfetti per certo rock’n’roll. Come quegli hotel che sorgono nelle zone malfamate delle città, con le crepe nel tetto, e i portoni fatiscenti. Luoghi deprimenti, abitati da sbandati con la pistola in mano. Alcolisti cronici, attricette, puttane, sgherri. Scrittori depressi, e romantici squattrinati. In questatmosfera furtiva, fosca, putrida, in quest’abbandono dove la puzza del vomito è insopportabile, certe canzoni trovano la luce rimanendo incastrate fra le corde di una chitarra sghemba e scordata. Canzoni rabbiose e piene di dubbi. Di uomini con gli occhi scivolati all’indietro, che in un giorno di pioggia, non hanno smesso di farsi domande. L’uomo in fondo al corridoio si accese una sigaretta, e rientrò nella stanza. Era un chitarrista, uno di quelli che comunque non avrebbe mai calcato i grandi palchi. Ma la cosa non gli toglieva il sonno. Si può vivere senza per forza essere i Rolling Stones. Una pioggia furiosa batteva i marciapiedi della città ormai da molte ore. Si lavò la faccia con l’acqua gelida, l’unica che arrivava nel suo rubinetto, e s’infilò i jeans. Si avvicinò alla finestra e osservò il cielo nero, e le nuvole che ballonzolavano nel vento. La pioggia scrosciava forte, spazzando tutto quello che trovava. Il vento aumentò d’intensità. Si versò da bere, e ingoiò in un sorso il liquido. Una donna con la testa china arrancava sotto la pioggia. Mentre le raffiche di vento la facevano ondeggiare come una scialuppa, calata nella tempesta. Accese il registratore e la voce terrificante di Big Joe Williams, attaccò Terraplane Blues.

E mi sento così solo, tu mi ascolti che gemo. Quando mi sento cosi solo, tu mi ascolti che gemo. ”(Robert Johnson)

Ancora credeva nel potere redentore del rock’n’roll. Era la sua arma di difesa per arginare quei deliri che alle volte lo opprimevano, fino a farlo quasi soffocare. Alzò il volume, e le casse scricchiolarono. Stava aspettando da settimane una chiamata dalla casa discografica, per incidere un disco insieme  alla sua band. I ragazzi però con il passare del tempo erano diventati sempre più nervosi e irrequieti. Sapeva bene che non avrebbero retto per molto tempo quell’attesa. La pazienza è una cosa che s’impara. La vita ti allena ogni giorno. Ma se si perde l’entusiasmo, non si va da nessuna parte. Era già successo altre volte. La depressione è un’arma micidiale. Filtrava da ogni angolo di quella stanza, ed era pronta a balzargli addosso. Nel 1974 Nick Drake morì per un’overdose di Typatasol un antidepressivo. Così affermò l’autopsia. Ma forse fu soltanto il suicidio di un ragazzo, che ascoltava silenzioso il ronzare del giorno. Che guardava il mondo con stupore e perplessità, con quegli occhi chiari che ormai erano diventate fessure troppo strette. Raccatta una manica di matti, il rock’n’roll. Abbagliati che aspettano che accada qualcosa di nuovo, che li faccia sbalordire, confondere, eccitare. I loro canti hanno occhi tristi, ma sono celle di luce. Perché pungolano e strattonano. Sono una capriola nella notte. Sangue e dolore. Urla nervose, in stanze tenebrose. Dove tutti si affollano a vedere che succede. Quando il sole cade giù.

M’ha detto che questi vecchi blues, vecchi blues di preoccupazione non sono male. È la peggior vecchia sensazione che ho mai avuto da provare”. (Robert Johnson- Walking Blues-)

E’ una strada faticosa, quella del rock’n’roll. Non basta avere una voce, o sapere suonare in maniera iperbolica il proprio strumento. Ci vuole l’anima per suonare il rock’n’roll. Lo splendore di un rigagnolo, la visione di un risveglio, qualcosa che brucia, che cade a pezzi. Ci vogliono uomini pieni di paura, ricoperti di polvere e fango che come granelli di sabbia, sanno riempire il mondo tormentato di chi li attende. Il cielo era ancora scuro. I guai cascano sempre indosso a chi c’è già dentro. Poi si trasformano in incubi, che ti perseguitano. Il bassista era stato in galera e questo creava dei problemi a quel coglione del manager. Anche se l’accusa di omicidio era poi decaduta tramutata in legittima difesa, non era bastato a tranquillizzarlo. Per questo quella chiamata tardava ad arrivare. Ma nessuno della band desiderava prenderne un altro. Perché quel basso sapeva suonare lacrime di sangue. E questo per il loro rock blues, era qualcosa di magico. Bevve un lungo sorso, e modulò la canzone che stava provando in tonalità di re minore. Suonò un do, un sol, e poi nuovamente un re minore. Il testo scorreva bene dentro gli accordi. Doveva solo provare una variazione di note per il ritornello. Né parlò con il sassofonista che provò quel cambio. La sensazione fu grandiosa.

E il magone è piombato su ‘sto figlio di mamma, mi ha buttato all’aria e stracciato. Continua il tuo viaggio, povero Bob, non puoi proprio tornare indietro il blu-u-u-u-ues è un brivido che ti scuote nel fondo. Preaching blues (Up Jumped The Devil) Robert Johnson-

Bob aveva cominciato a usare la cocaina per tenersi sveglio. E perché secondo il credo comune di chi la usa, lo faceva trombare come un indemoniato. E siccome lui voleva scopare a più non posso, s’ingozzava di roba. Una sera una banale discussione con il suo spacciatore era finita in lite. Sembrava che tutto fosse rientrato, invece quel pusher lo aveva aspettato sotto casa armato di coltello. Era stata solo una mano iellata. Non voleva certo ammazzarlo. Ma si era ritrovato in un colpo solo, nella merda fino al collo. Viviamo in un modo, dove si adorano le proprie menzogne. Popolato da gente che sputa su qualsiasi cosa, volti loro le spalle. Un mondo che ha perduto l’anima. Adesso Bob se ne stava fermo in quel caos. Depresso, incazzato e brillo. Ma la musica come sempre si prendeva tutta la sua innocenza, e anche quel mezzo sorriso, e tutti i suoi sogni. La musica lo faceva vibrare, e i suoi occhi s’illuminavano d’intenso. Come i pazzi di Jack.

Sai che ho fumato un sacco di erba. Sai che ho spuntato un sacco di pillole. Ma non ho mai toccato niente che il mio spirito potrebbe uccidere.(Steppenwolf- The Pusher-)

Aveva un’aria molto stanca. Attaccò la spina del basso nell’amplificatore e iniziò a eruttare note dure e spigolose, perfette per quella linea melodica. Ding, dong e tutto il gruppo andò dietro a quel suono, fin quando la canzone non assunse la forma giusta. La forma perfetta. Sono gli occhi, i nostri tizzoni. E’ dentro gli occhi che sono segnate le nostre croci, le nostre passioni, i nostri ardori. Dovremmo  ricordarcelo, mentre ce ne andiamo liberi per la strada. Non c’è gioia senza sofferenza. Forse è vero anche questo. Ma trovare calore e passione, è sempre più difficile. Sembra tutto scomparso sotto chili di nulla, sotto chili d’indifferenza. Pioveva a dirotto, e tutti si erano rintanati. Anche i vagabondi se ne stavano dentro gli androni dei palazzi. Appoggiati al muro immobili con i loro sacchetti della spesa in mano, canticchiando la loro canzone preferita.

Quando il treno ha lasciato la stazione con due luci accese sul retro. Be’ la luce blu era i miei blues e quella rossa era il mio pensiero. Tutto il mio amore è invano. Iii iii iii uuu uh, Willie Mae. Tutto il mio amore è invano.(Love in Vain – Robert Johnson )


 Bartolo Federico

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