domenica 23 ottobre 2016

Più Luce Della Luna



C’è stato un momento tra il 1973 e il 1978, che il mercato discografico sembrava non facesse altro che cercare dei nuovi Dylan. Ci sono finiti in tanti in quella "maledizione", perché essere paragonati a Dylan è stata un aspettativa che alla fine ha portato quasi sempre al fallimento commerciale. Chiunque a quel tempo stringesse tra le braccia una chitarra acustica e aveva un pugno di canzoni scritte di proprio pugno, finiva dentro quella "condanna". Ne sanno qualcosa Elliott Murphy, Phil Ocks, John Prine, Dirk Hamilton, Steve Forbet, James Talley e tanti altri. Adesso Dylan è solo un vecchietto, per qualcuno anche maleducato e arrogante, che non fa più tendenza. Pensate a quante inutili polemiche si sono levate contro la sua nomina al Nobel per la letteratura. Ma  in un modo o nell'altro, il mondo non finisce in Norvegia. Quello che invece è chiaro, che non ci sarà mai un nuovo Dylan. Anche perché  il mercato discografico non lo cerca più uno come lui. Il rock’n’roll ha dispetto di noi vecchi romantici ancora sulle barricate, è qualcosa che sta al chiuso di qualche sottoscala pieno di polvere e ragnatele.  Figuratevi oggi a chi diavolo importi di diventare un folk-singer, squattrinato e solitario. I ragazzi inseguono altri suoni, hanno altri idoli. Gira in un altro modo il mondo della musica. Si va solo nei talent show per emergere. La strada "maestra di vita" non conta più un cazzo, la gavetta non si fa più sui palchi scalcagnati di periferia. Tutti vogliono diventare  delle star e viaggiare in prima classe. La tivù offre questo sogno effimero, questo salto nel vuoto. L’apparire più della sostanza. Ma come al solito ci sono le eccezioni che rimettono tutto in discussione. John Calvin Abney con il suo “Far Cries and Close Calls” mi ha spiazzato sin dalla prima canzone quando con una voce nasale e sporca di polvere, si è messo a cantare il suo amore per il rock’n’roll. Mi ha preso con se e mi ha portato tra quelle strade dove sono stato un mucchio di altre volte, in quei luoghi consumati dal tempo e dalla nostalgia, e lo ha fatto con un piglio fresco e genuino, sincero e onesto. E allora la sua solitudine è diventata anche la mia. Sono un mazzo di canzoni che vale la pena ascoltare e consumare, fino alla nausea. Certo John Calvin Abney non è il nuovo Dylan, ma ci somiglia accidenti a lui, se ci somiglia. Perché volenti o nolenti si resta soli nella nebbia, e l’unica luce che abbaglia sono queste piccole stelle nel cielo.

Bartolo Federico


Nessun commento:

Posta un commento